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Uno dei gridi di battaglia che Deleuze prende a prestito da Nietzsche è rovesciare il platonismo. Ma che cosa significa, precisamente?
Per Nietzsche significa rovesciare la pretesa che il mondo sensibile, il mondo del divenire, venga giudicato, e dunque svalutato, alla luce (illusoria) del mondo stabile delle idee.
Per lui, rovesciare il platonismo significa abolire la fascinazione per l'eterno, in favore di una serena accettazione del divenire; abolire la fascinazione per la verità e tessere l'elogio dell’apparenza. Ma in Deleuze le cose stanno un po' diversamente. C'è forse un altro modo di intendere il rovesciamento del platonismo, un modo che non ha niente a che vedere con il cosiddetto relativismo postmoderno.
Pensando a Platone, di solito, si sottovaluta il fatto che la necessità delle idee implica l'accettazione del divenire, l'accettazione dell'immagine di un mondo sensibile irreparabilmente segnato dalla caducità. Il platonismo è anche, anzi soprattutto, l'affermazione di questa caducità del sensibile (di fronte alla quale diventa necessario il supplemento di stabilità e di eternità delle idee soprasensibili).
Ecco allora che un modo per rovesciare il platonismo è anche quello di chi, come Deleuze, afferma che proprio questo mondo (sensibile) è popolato di eventi senza tempo o, se si vuole, di oggetti eterni.
“Il giovane continuerà a sorridere sulla tela” (come dice Deleuze all'inizio del capitolo dedicato all'arte in Che cos'è la filosofia?) perché il suo sorriso, in qualche modo, esiste fuori dal tempo. |
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